1970
12 DICEMBRE
2020
1970 – 12 DICEMBRE – 2020
a
50 ANNI
dalla morte, in memoria di
SAVERIO
SALTARELLI
Pescasseroli, 25 maggio 1947 – Milano, 12 dicembre 1970
Pescasseroli, 25 maggio 1947
Milano, 12 dicembre 1970

SAVERIO SALTARELLI, 23 anni, di Pescasseroli d’Abruzzo, al terzo anno di giurisprudenza all’Università Statale di Milano, comunista internazionalista.
12 DICEMBRE 1970
Ucciso a Milano dalla polizia, nel primo anniversario della strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 in Milano, mentre manifestava sostenendo l’innocenza degli anarchici Valpreda, Bagnoli, Borghese, Di Cola, Gargamelli, Mander, accusati della strage senza alcuna prova o indizio.
[Anticipiamo il primo capitolo del sito dedicato a Saverio Saltarelli, oggi 12 dicembre 2020 in fase di elaborazione — Verrà completato e reso pubblico a giorni]
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50 anni fa, sabato 12 dicembre 1970, nel primo anniversario della strage di Piazza Fontana (Milano, 12 dicembre 1969, 17 morti) a Milano nel corso di una manifestazione veniva ucciso dalla polizia Saverio Saltarelli, di 23 anni, di Pescasseroli d’Abruzzo, studente al terzo anno di giurisprudenza alla Università Statale di Milano, comunista internazionalista.
Perché Saverio era in piazza in quel 12 dicembre?
Saverio venne ucciso dalla polizia mentre manifestava per ribadire la matrice reazionaria e fascista della strage del dicembre precedente; denunciare la morte di Giuseppe Pinelli per defenestrazione nella questura di Milano; solidarizzare con gli anarchici Valpreda, Bagnoli, Borghese, Di Cola, Gargamelli, Mander, incolpati della strage senza alcuna prova o indizio e da quasi un anno incarcerati in attesa di giudizio.
Oggi sembra strano, ma cinquanta anni fa la convinzione dell’innocenza degli anarchici era condivisa da pochi.
Per tutto il 1970, da parte della quasi totalità della pubblica opinione (comprese molte delle forze della sinistra allora detta “extra-parlamentare”) nella migliore delle ipotesi si mantenne infatti un imbarazzato silenzio sulle responsabilità o meno degli anarchici nella strage.
Si espressero subito per la loro innocenza solo alcune formazioni del movimento anarchico e pochissime organizzazioni minoritarie della sinistra comunista.
Il 12 dicembre 1970, primo anniversario della strage di Piazza Fontana, quando a Milano gli anarchici decisero di manifestare pubblicamente per l’innocenza dei loro compagni, si trovarono quindi quasi completamente isolati.
Solo un pugno di formazioni politiche (tra queste Rivoluzione Comunista, di cui era simpatizzante attivo Saverio Saltarelli e piccoli gruppi di quartiere della sinistra extra-parlamentare milanese — ci limitiamo a ricordare il “Luglio ’60” del Giambellino e il “Casoretto” che faceva riferimento ad Andrea Bellini) decisero di sostenere gli anarchici perché potessero manifestare pubblicamente rivendicando l’innocenza dei loro compagni.
Queste formazioni, caratterizzate da una critica radicale del sistema partitico-parlamentare ufficiale, nello scendere in piazza a favore di Valpreda e compagni, si trovarono quindi nella veste di tutori di semplici diritti, calpestati dalla Magistratura su indicazione e avallo di uno schieramento politico di centro-sinistra organico, teoricamente uno dei governi più “democratici” della storia repubblicana.
Può sembrare un paradosso ma non lo è affatto ed è un dato storico da cui non si può prescindere.
Il silenziamento degli anarchici.
Dieci giorni prima del 12 dicembre, gli anarchici milanesi avevano lanciato una pubblica campagna di informazione, con conferenze stampa e manifesti, in vista di una loro manifestazione in favore dei compagni incarcerati; ne avevano anche chiesto l’autorizzazione alla Questura.
Dopo una settimana di indecenti dilazioni, venendo meno a sue precedenti promesse informali, venerdì 11 il questore Bonanno aveva però loro proibito ogni manifestazione.
Mercoledì 9 aveva invece autorizzato un comizio in Piazza Duomo, indetto il 9 stesso dal «Comitato antifascista per la difesa dell’ordine repubblicano» (DC, PSI, PCI, PSIUP, CGIL, CISL, UIL, ANPI) sui processi di Burgos in Spagna agli indipendentisti baschi.
Una motivazione in generale più che condivisibile ma in quella giornata destinata ad apparire come un voluto silenziamento degli anarchici — non a caso il questore Bonanno aveva motivato il divieto alla manifestazione anarchica per la “contemporaneità” di iniziative diverse.
Cosa incredibile, ma in modo del tutto coerente, nel primo anniversario della strage di Piazza Fontana, nelle comunicazioni pubbliche per la mobilitazione autorizzata dalla Questura non si fece infatti alcun riferimento né alla strage stessa né agli anarchici ingiustamente accusati.
Al Movimento Studentesco Statale il questore Bonanno aveva invece consentito di presidiare l’area attorno all’Università:
« [i giovani del movimento studentesco] in virtù di un accordo “sui generis” fra la Questura e i loro leaders avevano avuto il privilegio di sostare all’ingresso delle vie Bergamini e S. Antonio in v. Larga a difesa della Università. Questo privilegio si era risolto in un disastro.» (Corte d’Appello di Milano — Sezione Terza Penale, Sentenza Antonetti / Saltarelli, 7 marzo 1977, p. 23).
Anche nelle comunicazioni di questa formazione universitaria, si fece riferimento a Piazza Fontana solo per invitare a impedirne un minacciato accesso ai fascisti del Movimento Sociale Italiano — anche in questo caso senza alcun riferimento agli anarchici ingiustamente accusati.
L’attacco immotivato dei Carabinieri, la morte di Saverio.
Al termine del comizio del “Comitato per l’ordine repubblicano”, immediatamente dopo la partenza da Piazza Duomo e senza alcuna ragione, alle 17,45 il corteo degli anarchici, composto da 5 – 600 persone, venne duramente attaccato dai Carabinieri all’inizio di Via Torino, da Via Speronari e Via Spadari, proprio sulle fila degli internazionalisti, in cui era schierato Saverio Saltarelli.
Il gruppo internazionalista e il corteo anarchico si trovò immediatamente frantumato in piccolissimi gruppi, dispersisi sia verso Piazza Duomo, Piazza della Scala, Piazza Diaz, sia verso Piazza Missori, attraverso Via Mazzini e le viuzze di collegamento con Via Torino.
Ne seguirono sporadici e limitati scontri poco più che individuali in Via Torino e poi in Via Albricci, dove furono infrante le vetrine della compagnia aerea di stato spagnola.
In via Larga, dove si era spostato dalla vicina Piazza Duomo dopo la dispersione del corteo e del gruppo internazionalista, Saverio si trovò nella contiguità di una frizione tra un velo di manifestanti (parte presenti lì da tempo, parte già partecipanti al corteo disperso in via Torino) e una quarantina di Carabinieri, lì inviati da Piazza Missori per fare riprendere in Via Larga lo scorrimento del traffico, appena interrottosi.
La frizione si sviluppò in uno scontro vero e proprio per il coinvolgimento di spezzoni del servizio d’ordine del Movimento Studentesco, come da accordi con la Questura schierato in Via Sant’Antonio e Via Bergamini.
Quel mezzo plotone di Carabinieri si trovò in difficoltà da cui uscì esplodendo numerosi colpi di pistola tirati ad altezza d’uomo (venne ferito un giornalista distante una ventina di metri); nella carica in loro soccorso che comunque ne seguì immediatamente da parte di tutta la forza di polizia e Carabinieri disponibile tra Piazza Missori e Piazza Fontana (riteniamo circa 300 uomini), Saverio si trovò in mezzo ai Carabinieri all’attacco.
In circostanze mai chiarite, mentre si trovava verso le 18,30 nello slargo alla confluenza di Via Bergamini, Via Sant’Antonio, Via Larga, Saverio, secondo le due sentenze 1976 e 1977, venne colpito al petto da un lacrimogeno sparato dalla polizia; rimase esanime a terra per circa 10 – 15 minuti; venne poi soccorso da manifestanti (presumibilmente del servizio d’ordine del Movimento Studentesco) che lo portarono all’interno della Università; un medico cercò di rianimarlo ma ne chiese immediatamente il ricovero al vicino Policlinico dove però Saverio giunse già morto, verso le 19,00.
Verso le 20,00, in Via Larga c’è un abboccamento tra il capo della squadra politica della Questura Antonino Allegra e Capanna («Viene a parlamentare. Dice: “Ho avuto l’ordine di ritirare gli uomini, a condizione che voi facciate altrettanto”» — Capanna, Formidabili quegli anni, Garzanti, 2017, p. 151).
Uno spezzone piuttosto consistente e attrezzato del servizio d’ordine del Movimento Studentesco, provenendo da Via Santo Stefano e guidato dallo stesso Capanna, si portò alle spalle di un gruppo di 20 – 30 manifestanti, parte residua del corteo anarchico già disperso in Via Torino e attestato alla confluenza di Via Chiaravalle con Largo Richini.
Tra questo gruppo, che fino a quel momento aveva respinto due cariche della polizia lanciate da Via Larga (Via Chiaravalle è stretta e si presta alla difesa) vi erano anarchici; elementi del “Luglio ’60” del Giambellino guidati da Pierino Morlachi; internazionalisti compagni di Saverio Saltarelli, tutti ignari della sua morte.
Secondo la realtà dei fatti (e come confermato dalla testimonianza di Roberto Tuminelli che guidava il comparto del servizio d’ordine del Movimento Studentesco schierato in Piazza Santo Stefano), contrariamente a quanto ne scrisse vent’anni dopo Capanna, tutti i dirigenti del Movimento Studentesco furono da subito consapevoli del ferimento di Saverio e della sua morte (M. Capanna, ibidem, p. 151 – 152: « […] rientriamo nell’università. Qui capiamo la ragione della inconsueta comunicazione. Evidentemente il funzionario aveva saputo per radio della tragedia che noi ancora ignoravamo. Uno studente era rimasto ucciso.» / R. Tuminelli, Piazza bella piazza – ed. Nuova Iniziativa Editoriale, 2005, pag. 85 – 96: «Senti, è successa una cosa…» […] «Giorgio mi ha detto di dirti che di là» e fa un cenno con la testa verso la via Bergamini «è morto un compagno… l’ho già detto a Toscano e Capanna…» «Occazzo…!» […] «Sei sicuro che è morto?» «Giorgio dice di sì, sì, è sicuro…»
Al gruppo di dimostranti attestati in Via Chiaravalle / Largo Richini Capanna intimò la cessazione di ogni azione. Alla vivace reazione immediata dei pochi internazionalisti seguì un breve tafferuglio a base di spranghe, colpi di pietra, spintoni, presto conclusosi solo con qualche reciproca ammaccatura per il disorientamento degli altri manifestanti che non comprendevano perché il servizio d’ordine del Movimento Studentesco fosse intervenuto contro di loro (ci volle ancora qualche mese perché le cose risultassero più chiare a tutti).
Con questa azione del Movimento Studentesco, che volle mantenere fede all’accordo preso con il questore Bonanno per il mantenimento dell’ordine attorno all’Università, si concluse il 12 dicembre 1970.
I fascisti del Movimento Sociale Italiano di Almirante, che avevano nei giorni precedenti minacciato di recarsi in massa in Piazza Fontana, si affacciarono con un piccolo gruppo in Via Laghetto, venendo subito dispersi dalla polizia; fecero poi una insignificante azione dimostrativa in Corso Venezia, lontano dal centro, anche qui venendo immediatamente dispersi dalla polizia.
L’impotenza della Magistratura alla conoscenza dei fatti.
La sentenza di primo grado del 1 luglio 1976 giudicò il capitano di polizia Alberto Antonetti “colpevole del delitto di omicidio colposo” e lo condannò a 9 mesi, con la condizionale e la non iscrizione nel casellario giudiziale.
Su ricorso del condannato, dalla Corte d’Appello di Milano, pur con la conferma che Saverio era stato ucciso da un candelotto lacrimogeno sparato dalla polizia, il capitano Antonetti venne assolto per “insufficienza di prove”.
La Magistratura nel 1977 si dichiarò quindi impotente a rispondere almeno a due domande:
— esattamente chi e in quali circostanze uccise pubblicamente Saverio Saltarelli?
— quanto tempo il corpo di Saverio rimase esanime a terra e senza soccorso in un’area presidiata da diecine di agenti di polizia, militari dell’arma, funzionari della Questura?
A cinquant’anni di distanza neppure noi siamo in grado di rispondere a queste domande.
Siamo però in grado di indicare con buona precisione, e con un quadro di riferimento mai prima tracciato da altri, le circostanze politiche nelle quali si sviluppò la giornata del 12 dicembre del 1970 e che devono essere considerate come la premessa ambientale dell’omicidio di Saltarelli.
Il quadro politico in cui maturò l’omicidio di Saverio Saltarelli — il golpe reazionario, rientrato ma comunque ritenuto temibile.
Nella notte tra lunedì 7 e martedì 8 dicembre 1970 (pochi giorni prima quindi del sabato 12 in cui venne ucciso Saverio), da Junio Valerio Borghese fu, in Roma e in altre località d’Italia, avviato un golpe, gestito in prima istanza da formazioni fasciste cui avrebbe dovuto seguire una mobilitazione di reparti dei Carabinieri con l’obiettivo di imporre un nuovo Governo di svolta autoritaria.
Per ragioni mai chiarite, il golpe fu da Borghese bloccato a poche ore dal suo avvio.
Ne venne comunque immediatamente informata tutta la catena di comando militare e politica, compresa l’opposizione parlamentare e l’ANPI.
Dell’evento venne però decisa la più assoluta secretazione: del golpe Borghese si parlò pubblicamente solo quattro mesi dopo, nel marzo 1971.
La settimana che si concluse il sabato 12 dicembre con l’uccisione di Saverio Saltarelli fu quindi segnata dalla mobilitazione di tutte le forze presenti in Parlamento (compreso il MSI di Almirante, immediatamente dichiaratosi estraneo ai piani di Borghese, che aveva però seguito fino all’ultimo istante) per scongiurare, ma nel quadro della più assoluta segretezza, ogni eventuale sviluppo golpista.
Le forze dell’arco costituzionale, scosse dal golpe abortito, attuarono un golpe dell’informazione perfettamente riuscito; nella gestione dell’ordine pubblico volendo dimostrare di potere essere più stupidamente violenti dei golpisti mancati.
È in questa situazione, oggettivamente complessa ma resa del tutto opaca e collusiva dalla secretazione voluta da tutte le forze parlamentari, che maturò la decisione della Questura di proibire in Milano ogni iniziativa promossa dagli anarchici o da qualsiasi altra formazione non ufficiale e di consentire solo manifestazioni promosse dalle forze parlamentari o a esse direttamente o indirettamente organiche.
Da questa situazione la decisione centrale di impiegare in servizio d’ordine pubblico e contro poche centinaia di manifestanti disarmati (tra cui anche numerose giovanissime militanti anarchiche), reparti della XI Brigata Meccanizzata, una formazione di Carabinieri destinata e addestrata all’impiego bellico, chiamata a servizi d’ordine pubblico solo nei casi ritenuti di particolare impegno e non sostenibili dalla sola polizia.
In quel 12 dicembre 1970, quella situazione di alta tensione istituzionale venne tenuta accuratamente nascosta alla pubblica opinione e ai manifestanti: era quindi pressoché inevitabile che una gestione dell’ordine pubblico, insieme omertosa ed elitaria, generasse il massimo del disordine e sfociasse nel sangue.
Solo il caso evitò che in quel 12 dicembre 1970 ci fossero altri morti tra gli anarchici e i loro sostenitori internazionalisti, agenti di polizia o carabinieri, servizio d’ordine del Movimento Studentesco o anche tra gli ignari cittadini.
Ciò però nulla cambia del dato di fatto che a morire assassinato fu Saverio Saltarelli, figlio di Pescasseroli dell’Alta Val di Sangro d’Abruzzo, comunista internazionalista, sceso in piazza contro l’infamia di una accusa di strage agli anarchici basata esclusivamente sul pregiudizio politico e sulla cancellazione del diritto.
Da questo dato di fatto dobbiamo partire — come partiamo — nella volontà di presentare, con questo sito, la vita e la morte di Saverio Saltarelli.
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Il sito in memoria di SAVERIO SALTARELLI è in lavorazione. Verrà completato e pubblicato a giorni.
Il sito illustrerà la vita, la fisionomia personale, gli interessi artistici, l’impegno di Saverio, prima come cattolico impegnato nel sociale, poi come comunista internazionalista.
Narrerà nel dettaglio le circostanze della sua morte, sfatando menzogne interessate, vecchie ormai di mezzo secolo.
